28 ottobre 2015

Sinodo sulla famiglia? Alla fine è solo l'inizio

Tra le parole-chiave del lungo percorso del Sinodo dei vescovi della Chiesa cattolica sulla famiglia che si è appena concluso, ce n’è una che mi sembra molto cara a Papa Francesco: “ermeneutica”, ossia il metodo di interpretazione di un certo oggetto di indagine. La mia personalissima “ermeneutica” per provare a condividere qualche riflessione sull’evento sinodale e su come mi pare abbia viaggiato in Rete è in una frase: cominciamo dalla fine.


Perché se cominciassimo dall’inizio, almeno della parte ordinaria del Sinodo, forse ci smarriremmo presto o ci passerebbe l’appetito, come di fatto credo sia accaduto alla grande maggioranza delle persone, almeno quelle che hanno tentato di seguire gli eventi senza essere addetti ai lavori. Hanno, infatti, dovuto dribblare senza perdere l’equilibrio lo scientifico coming out di monsignor Charamsa; o deglutire a forza, ogni giorno, nella speranza di un gustoso dessert finale, il piatto unico messo in caldo da tempo, ossia la questione dei divorziati risposati. Questione che è poi stata il filo rosso del già ribattezzato “sinodo dei media” (o “attraverso i media”) su cui tornerò brevemente tra qualche riga.

Quindi, cominciamo dalla fine. Intanto dal testo della Relazione finale. Senza poter entrare nei dettagli per tutti coloro che come me nutrivano certe aspettative, consiglio di rileggere il testo al contrario, dall’ultimo numero al primo. Le aspettative su quello che nelle formule è da tempo definito il passaggio da una famiglia “oggetto di pastorale” a “soggetto pastorale”; su una esplicita considerazione degli sposi come protagonisti della vita della Chiesa e non solo dei tribunali canonici e dei confessionali; sulla migliore valorizzazione di una fragile ma bellissima realtà che è anche un sacramento, trovano delle risonanze interessanti: si tratta di vedere come e quando queste si concretizzeranno nella vita ordinaria delle comunità cristiane. Se dovessi prevederlo dal semplice livello di partecipazione in questi mesi di cammino sinodale sui social media di persone che non sono stretti addetti ai lavori, sarei costretto a essere un po’ pessimista.

Per non cadere nel pessimismo, cominciamo dalla fine anche col discorso conclusivo del Sinodo del Santo Padre. Papa Francesco, con lo stesso linguaggio e lo stesso orizzonte del suo programma pastorale, la Evangelii Gaudium, ha spiegato con la parresia richiesta ai vescovi (e usata però, ha detto lui, a volte con “metodi non del tutto benevoli”) cosa significhi concludere un Sinodo: “Tornare a ‘camminare insieme’ realmente”. Un camminare insieme “realmente”, appesantito negli anni dopo l’impulso in questo senso del Concilio Vaticano II. In un testo molto ricco di immagini, come di consueto, ne offre una che sa di parola definitiva, ossia che concludere il Sinodo “significa aver testimoniato a tutti che il Vangelo rimane per la Chiesa la fonte viva di eterna novità, contro chi vuole ‘indottrinarlo’ in pietre morte da scagliare contro gli altri”.

Comincio dalla fine anche a proposito del tenore dei commenti sul “risultato” del Sinodo. Perché fino all’ultimo il Sinodo dei media ha scelto – altra ermeneutica – il criterio di interpretazione dello scontro politico, della lotta di potere. Non mi trovo d’accordo con chi glissa su questo e dice che non sia vero che c’è purtroppo anche nella Chiesa chi coltiva e considera prevalente questa dimensione; ma sottolineo come questo punto di vista abbia, in maniera (in)evitabile e non sempre innocente, sviato l’attenzione dei più dalla ricchezza di quello che effettivamente stava avvenendo a dispetto dei vari complottisti, gli uni contro gli altri armati.

Prendendo spunto proprio dal voto finale sulla questione della ammissibilità ai sacramenti dei divorziati risposati (1 paragrafo su 94), spiega bene anche questa questione Andrea Tornielli in un suo commento davvero esaustivo: “La portata di quanto accaduto ieri al Sinodo viene ora minimizzata, sui media, sia da quelli che fino all’ultimo speravano nella bocciatura di quel paragrafo per indebolire ogni apertura, sia dai commentatori aperturisti, delusi per il fatto che il Sinodo abbia concesso troppo poco in questa materia. Così, ancora una volta, nel (corto) circuito mediatico, i due opposti si toccano e in fondo concordano. Incapaci di cogliere, sia gli uni che gli altri, quel ‘camminare insieme’ del Sinodo, quello sguardo autenticamente evangelico di una Chiesa la quale, fedele fino in fondo all’insegnamento del suo Signore, cerca ogni strada per avvicinare, accogliere, reintegrare, abbracciare, perdonare, includere”. 

All’inizio del percorso sinodale avevo immaginato (sognato) un incontro meno ingessato e più “all’amatriciana”, che si svolgesse intorno a una tavola, in una casa vera e non in un salone austero, con l’odore del sugo della domenica: il Santo Padre con padri e madri sinodali, preti e laici, e ovviamente coppie e bimbi, tutti insieme seduti alla mensa, che è il primo luogo di incontro, anche dialettico, ma segno che fa davvero casa, “chiesa domestica”. Non ci siamo ancora, ma non dispero: magari un assaggino di metodo al prossimo Convegno ecclesiale a Firenze?

(pubblicato su www.copercom.it)

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